Questa tendenza però non può non essere vista con favore, come un segnale che non si rischia di scomparire dal mercato e si è invece in condizione di provare a risalire la china, con una fiducia sul lungo periodo che consente di azzardare la sostituzione del canone d’affitto con una rata del mutuo che permette l’acquisto dello stabile nel quale avviene il grosso del lavoro o della produzione.
Ma veniamo ai dati. Risulta ancora maggioritario il numero delle imprese che ha un contratto d’affitto, dato che questa condizione è ancora valida per oltre il 55% delle attività. Solo il 17% è già proprietario dei muri in cui svolge il proprio lavoro mentre il 28,6% è titolare di un contratto di leasing relativo alla sede operativa. Il quadro sta dando delle indicazioni interessanti a riguardo, perché aumenta la tendenza delle aziende a cercare di comprare il proprio “quartier generale”. Rispetto alla precedente rilevazione infatti, le aziende intestatarie di un contratto di affitto sono scese di due punti percentuali mentre sono cresciute quelle che hanno deciso di fare il grande passo e acquisire la struttura produttiva così come quelle che hanno stipulato un contratto di leasing.
Gli ultimi dati dicono che tra le società proprietarie degli stabilimenti oltre il 40% di esse ha potuto sopportare il peso dell’acquisto rivolgendosi ad un istituto bancario e stipulando un mutuo mentre circa il 14% ha sfruttato sostanze aziendali, sottraendole ad investimenti in macchinari per diventare proprietario dei muri. Circa il 4% ha invece preferito la formula del riscatto adoperando un leasing.
All’incirca il 17% delle imprese, secondo un indagine di Tecnoborsa, ha comunicato di avere effettuato un trasloco negli ultimi dieci anni ma negli ultimi cinque si può notare che il numero di aziende che ha cambiato sede è diminuito drasticamente, un ulteriore segnale che le imprese diventano “stanziali”.
Secondo alcuni disfattisti, l’aumento delle aziende che acquistano la propria sede in realtà viene resa più importante, nei numeri, dal fatto che in Italia sta accadendo una sorta di scrematura delle imprese dovuta alla crisi e a tutto quello che questo fenomeno si porta dietro (riduzione degli incassi, maggiore difficoltà di accesso al credito, aumento delle imposte). Viene quindi visto come normale che chi sopravvive alla crisi diventi più forte e si possa permettere di “fare acquisti” in campo immobiliare. Resta il fatto che i numeri assoluti vanno nella direzione di un aumento del giro di affari degli immobili commerciali e, comunque si voglia vedere le cose, questo non può che essere colto come un segnale di ottimismo, che ci dice che finalmente la famosa luce in fondo al tunnel si comincia a vedere.